La pausa pranzo è un momento di break che il lavoratore può utilizzare non solo per mangiare qualcosa e rifocillarsi, ma anche per riposare, ricaricare le energie e, perché no, per vivere un momento di convivialità con i colleghi.
Come vale per molti altri aspetti della vita lavorativa, anche la pausa pranzo è regolata da una serie di norme che stabiliscono quando i dipendenti ne hanno diritto e quando, invece, non è prevista. Di seguito vedremo in quali casi la pausa pranzo è obbligatoria, quale dev’essere la sua durata e altro ancora.
Quando la pausa pranzo è obbligatoria?
La pausa pranzo è un diritto del lavoratore ed è regolata da Decreti Legislativi specifici che la indicano come obbligatoria qualora l’orario giornaliero vada oltre le 6 ore continuative. La norma precisa a cui fare riferimento, in Italia, è il Decreto Legislativo 8 aprile 2003, n.66. L’art. 8 di tale decreto stabilisce infatti che, nel caso in cui l’orario di lavoro giornaliero superi il limite di sei ore, il lavoratore deve beneficiare di una pausa “ai fini del recupero delle energie psico-fisiche e della eventuale consumazione del pasto anche al fine di attenuare il lavoro monotono e ripetitivo”.
Non è possibile, quindi obbligare un lavoratore ad effettuare continuativamente 8 ore di lavoro senza pausa.
Quanto dura la pausa pranzo?
Altro tema su cui ci può essere un po’ di confusione è la durata della pausa pranzo. Su questo argomento il D.Lgs 66/2003 stabilisce che:
- Le modalità e la durata della pausa pranzo sono stabilite dai contratti collettivi di lavoro (CCNL).
- In caso non ci siano delle indicazioni specifiche nei contratti collettivi, durante la giornata lavorativa al lavoratore deve essere concessa una pausa, anche sul posto di lavoro, di almeno 10 minuti e non superiore a 2 ore, la cui collocazione “deve tener conto delle esigenze tecniche del processo lavorativo”.
A livello teorico, quindi, la durata della pausa pranzo può variare tra i 10 minuti e le due ore, a seconda di quanto viene stabilito dai singoli contratti collettivi; tuttavia, nella maggior parte dei casi i datori di lavoro riconoscono una pausa di almeno un’ora.
La pausa pranzo è compresa nell’orario di lavoro?
Anche in questo caso, la risposta di trova all’art. 8 del D.Lgs 66/2003 che cita a sua volta l’art.5 del Regio Decreto 1955/1923. Semplificando, la normativa stabilisce che, a meno che non ci siano disposizioni diverse all’interno dei CCNL, le soste di lavoro di durata non inferiore a 10 minuti e non superiori a due ore comprese tra l’inizio e la fine della giornata lavorativa non vengono considerate come lavoro effettivo.
La pausa pranzo non conta, quindi, come orario di lavoro effettivo, quindi non fa parte della retribuzione a meno che il contratto collettivo di riferimento non stabilisca il contrario.
La pausa pranzo non goduta è retribuita?
Diverso è il caso in cui la pausa pranzo non venga goduta dal lavoratore. Partendo dal presupposto che il datore di lavoro non può obbligare il dipendente a rinunciare alla pausa pranzo, il lavoratore può comunque decidere volontariamente di saltare la pausa per continuare a lavorare, se richiesto. In questo caso, però, la pausa non goduta dev’essere conteggiata come straordinario e retribuita come tale anche se è prevista l’erogazione del buono pasto. A confermare ciò è l’ordinanza n. 21325/2019 della Corte di Cassazione.
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